Editoria digitale

Informazione: le piattaforme digitali, i rischi e le opportunità

Giornali_sono_software

Due notizie si sono incrociate oggi, opposte e al tempo stesso sovrapposte, che riguardano il futuro dei media, dell’informazione e delle opportunità per chi di professione intende o pretende lavorare nel campo dei progetti editoriali (chiamiamole riviste, canali, feed… come vogliamo).

La prima è di una Vblogger cambogiana, Catherine Harry, che a causa degli “esperimenti” di Facebook nella modifica del suo news feed (Explore Feed, che porta a dividere i contenuti sponsorizzati da quelli organici) ha subìto una penalizzazione passando da 12 mila a 2000 utenti per i suoi video. Si tratta una denuncia importante, perché non si tratta di una ragazza che si diverte a parlare di make up e di torte (che, comunque, sono argomenti degni – se ben realizzati – di essere visibili), ma di problematiche legate a tematiche sociali e politiche importanti, in un Paese – la Cambogia – che è tra i più penalizzati dalla libertà di stampa, e questo “esperimento” coincide con un periodo elettorale molto drammatico, e quindi un’informazione libera e alternativa invece che essere più forte, è stata sostanzialmente zittita per strategia aziendale. In definitiva, come giustamente dice Catherine Harry, si capisce che si può essere schiacciati da questi interessi che nulla hanno a che fare con l’impegno, l’importanza e l’utilità di quello che si pubblica su una piattaforma che offre sempre più come alternativa l’attivazione di inserzioni a pagamento; chi non può farlo è in balia di cambiamenti che possono lasciarti nel fango da un giorno all’altro. Anche Filip Struhárik, redattore del Denník N, giornale della Repubblica Slovacca (altro Paese coinvolto dall’esperimento di Facebook, insieme a Sri Lanka, Serbia, Bolivia, Guatemala e appunto Cambogia) ha denunciato un terribile “drop” della visibilità dei loro contenuti su Facebook.

La seconda notizia l’abbiamo letta in un articolo pubblicato qualche giorno fa da FastCompany che racconta l’evoluzione dell’impegno di Jeff Bezos nel campo dell’editoria. Dopo avere acquisito, nel 2013, il Washington Post e averlo portato all’attivo in meno di tre anni, creando nuovi posti di lavoro e sviluppando investimenti e piani di crescita, da qualche tempo si è creata naturalmente una nuova attività che vende la tecnologia digitale che è stata sviluppata proprio per rendere competitivo il mitico quotidiano americano, e che si chiama ArcPublishing. Già, perché la cura per far rinascere il Washington Post è stata legata alla tecnologia, al codice, alla cultura che ha creato la stessa Amazon. E si tratta di soluzione che non solo è stata creata ad hoc e non “aggregata” usando pezzi di soluzioni già esistenti, ma viene proposta in modalità scalabile: si paga per quello che si usa, quindi un giornale di media dimensione paga meno di uno di grande dimensione. Beninteso, si parla di investimenti che si posizionano tra i 10 e i 150 mila dollari, ma il sistema funziona, è efficiente, è moderno. Di fatto, l’editoria, i giornali, le riviste diventano un software. Tanti anni fa, si parlava, e si polemizzava, oppure si tendeva a dire che “i giornali sono delle App”, come scriveva Luca de Biase, firma prestigiosa de “Il Sole 24 ore” nel 2010.

Il senso di questo intreccio di notizie (che sono più conferme che notizie) è che oggi chiunque voglia lavorare nell’informazione, nel creare e sviluppare attività editoriali ha davanti a sé scelte che sono legate al digitale: come traino, come ottimizzazione produttiva e gestionale, come prodotto finale. Serve competenza, serve capire che le strategie passano da “casa nostra” (sito) e che se ci si affida a piattaforme esterne (leggi: social), bisogna capire che gli interessi, immensi, di queste realtà solo a volte, e per percorsi brevi, possono coincidere con i nostri. Affidare la vita e il futuro dei nostri contenuti e della nostra strategia editoriale non può dipendere dai “soli algoritmi”: o si decide di investire economicamente sui social (e non poco), oppure dobbiamo ricordarci che siamo solo ospiti che approfittano di un piatto freddo che potrebbero toglierci dalla mattina alla sera. La formula di Amazon con il Washington Post, ovvero di sviluppare tutto in casa, a partire dal codice, è vincente, ma ce lo dobbiamo poter permettere (non fa per i piccoli, che devono trovare altre soluzioni). Possiamo e dobbiamo lavorare anche bene su un livello già “basso” (WordPress e compagnia), ma non possiamo essere solo utenti di “scatole che fanno cose”… di cui non abbiamo il controllo. Gli editori del futuro devono guadagnare coscienza, competenza, visione tecnologica. Anche se dovessero scegliere di pubblicare una bellissima rivista su carta… perché il dramma della distribuzione e del raggiungere l’audience rimane, e rimarrà.

Pensieri d’estate

Athenaeum Nieuwscentrum | Amsterdam

Sono stati giorni di apparente calma qui, nei quali però abbiamo vissuto di editoria quasi giorno e notte. Ma cos’è successo dunque? Davanti a noi sono passati di nuovo qualche centinaio di studenti, di quelli che il primo giorno non alzano mai la mano alla domanda che riviste leggete? (a volte anche alla più semplice che riviste conoscete?). Poi, spesso in un cerchio al centro del campus, le cose cambiano e i loro occhi si illuminano: quest’anno tra loro hanno riscosso il maggiore successo la rivista di stregheria, Sabat, e Flaneur (ne avevamo accennato tempo fa).

Per quel che ci riguarda, invece, a sbancare nei nostri cuori sono state 212, grande (letteralmente) rivista turca dalla ricca fotografia, A nel suo numero curato dallo stilista Thom Browne, e la visita alla rivisteria Athenaeum Nieuwscentrum ad Amsterdam, dove potete trovare facilmente pressoché ogni rivista indipendente che vi venga in mente. Un assaggio di paradiso, insomma…

Abbiamo partecipato a campagne di crowdfunding, tra cui Stupid Magazine, rivista sulla musica pop, e Rueville… particolarmente apprezzabile progetto di un gruppo di studenti di Manchester!

Dopo aver snobbato un po’ il tanto discusso Snapchat, ci stiamo ricredendo su come possa essere invece un utile mezzo per gli sviluppi dell’editoria digitale e abbiamo in cantiere per fine Settembre la nascita di un nuovo progetto editoriale digitale… stay tuned! Anche per tante altre iniziative, sotto il tetto di MGZN che, oltre ad un tetto, sta cercando di costruire anche la casa sottostante :-)

Riviste digitali: come evitare il rischio di estinzione

MGZN | Riviste digitali: come evitare il rischio di estinzione

Le riviste digitali hanno un problema serio, e nessuno ne parla. O meglio: visto che siamo preoccupati, abbiamo iniziato a parlarne noi, e lo abbiamo fatto di recente, facendo un intervento molto appassionato durante un evento dedicato al digital publishing. Questo problema non è dato dalla loro ancora scarsa capacità di penetrazione sul mercato, e nemmeno dalla mancanza di attenzione che hanno finora ottenuto dal mondo dell’editoria mainstream, che si è banalmente accontentata di versioni prive di appeal, semplici versioni PDF fatte pagare come quelle cartacee e senza dedicare loro la giusta progettualità grafica, contenutistica e ancor più commerciale ed imprenditoriale a questo nuovo modo di intendere le riviste (di tutto questo, molti ne subiranno le conseguenze quando il mercato sarà più maturo, e saranno nati nel frattempo nuovi editori capaci di cavalcare questa evoluzione).

Il vero problema è di altro genere, e ha a che fare con la durata nel tempo. *Sono già tante le riviste digitali che sono morte, o quantomeno sono scomparse*: la tecnologia le ha già fagocitate, perché lo sviluppo si è bloccato. Le prime due piattaforme per creare riviste digitali per iPad (quella di Woodwing e quella di Adobe, la DPS) sono sostanzialmente morte, e quindi tutte le pubblicazioni nate nei primi anni (2010/2014) con questi sistemi sono spariti da Apple Store e da Google Play (le pochissime che sono arrivate anche qui), e quelle che ancora sono presenti sono dei morti che camminano. Il rischio è che questo stesso risultato sarà destinato ad altre riviste che sono state realizzate con altre piattaforme “Proprietarie”, ed è necessario mettere in allarme questo settore per evitare una desertificazione epocale.

L’informazione, gli “articoli istantanei” di Facebook e Google e il ruolo degli editori

L’editoria dell’informazione è di fronte ad un’evoluzione epocale. Ancora, direte voi? Si, perché ci sono meccanismi che stanno influenzando i metodi di fruizione, ma anche i flussi di distribuzione, e gli editori (grandi e piccoli) devono capire come muoversi, velocemente.

Molti avranno sentito parlare delle soluzioni proposte da Facebook con il suo Instant articles che dal 12 aprile sarà disponibile a tutti gli editori (anche a noi piccolini…), sull’altra sponda Google propone e spinge l’analoga tecnologia Accelerated Mobile Pages (AMP). Cosa offrono queste tecnologie? La velocità di accesso agli articoli, usando ottimizzazioni che permettono di caricare “istantaneamente” contenuti anche ricchi di animazioni e impatto multimediale, riducendo ad un istante il tempo che intercorre tra la chiamata del link dell’articolo e la sua visualizzazione sullo schermo; il risparmio, dicono gli esperti tecnici, è di diversi secondi, a parità di contenuto.

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