… ma hai visto di recente IL? Era un po’ che non lo prendevo e non lo sfogliavo con attenzione…  è cambiato il direttore, ovviamente non c’è più traccia di Francesco Franchi ma nemmeno del suo “successore”, ma ora davvero è irriconoscibile (e non parlo solo di grafica).

Che ne pensi?

In effetti l’ho perso di vista anch’io negli ultimi mesi. Forse proprio perché nessuno ne parla più: ricordo che un venerdì al mese Twitter si infuocava di commenti di persone che correvano a comprare Il Sole solo per avere IL. Fioccavano foto delle pagine più “audaci”, delle infografiche più intricate, delle soluzioni grafiche più innovative, oppure ancora delle firme più cool del panorama giornalistico italiano.

Ora c’è il silenzio.

 

Avevo sentito che il direttore era cambiato, ma il nome del nuovo art director è introvabile (nel senso che proprio non è indicato nel colophon). In questo senso, i fatti parlano da soli e lo fanno a partire dalla copertina: una direzione creativa non c’è. Foto di un bebé e di un braccio meccanico? E’ la fiera della foto di stock, priva di personalità, ma facilmente adattabile ad altre centomila testate. Sento la mancanza di quelle copertine – spesso discutibilissime – dove all’illustrazione succedeva la tipografia e poi ancora la fotografia. Il lettering di Jessica Hische, le illustrazioni di Marta Signori o Maria Corte, le foto di Vincent Laforet.
Insomma, il genere di cose per cui scrivi un libro per Gestalten (e il materiale è tale da farne un librone!).

Già, copertine che non permettono di distinguerla da mille altre riviste, da Panorama a Style, ecc. E non credo che sia un problema di “puro budget”, ma ci visione: come diceva Steve Jobs, la visione è più importante del percorso… e la visione non sembra esserci più. E hai notato che hanno (dovuto) scrivere “Maschile” accanto alla testata? Se no non si capiva? Forse per creare un maggiore appeal per gli inserzionisti? Forse si punta ad un target che non capisce la finezza che IL è maschile, non come LA?

Quel “Maschile” mi infastidisce, perché mi esclude dai lettori e me lo urla subito dalla copertina, senza neanche lasciare a me il compito di giudicare se i contenuti mi interessano o meno. Insomma, mi vuoi proprio tenere a distanza, IL? Sta’ tranquillo che ci stai riuscendo!

Hanno anche riportato lì di fianco alla testata il nome dell’editore, quasi a sottolineare che IL non vive di vita propria, ma è figlio del quotidiano, qualora non avessimo notato che è tra quelle pagine che sta quando lo compriamo in edicola. Forse che stava guadagnando troppa indipendenza e importanza?

Ma… forse si punta più sulla “brand awareness” che non sulla personalità di una rivista che era riuscita ad andare oltre a quello che ormai sembra essere l’unico approccio dell’editoria italiana, ovvero “contenitori di pubblicità”. Gli inserti “riviste” dei quotidiani sono nati per poter offrire spazi pubblicitari a colori e su “carta bella” agli inserzionisti, ma questo non impedisce che si possano anche fare meravigliosi prodotti (come per esempio il New York Times Magazine), e come – ovviamente – quello che “era” IL. Ora tutto si limita ad un contenuto standard, di quelli “educati” e che sorridono al reparto pubblicitario, come tutti, come tutta quell’editoria che è in crisi di identità, perché non pensa al creare una “relazione” con i lettori, che sono solo “numeri” da vendere in un listino. Tantissime persone compravano IL, come giustamente dicevi tu, per il valore del contenuto, della grafica, della personalità… utenti interessanti, per la pubblicità. Se fossi un inserzionista, avrei voluto avere questo tipo di target, non solo quello di chi “si trova tra le mani” una rivista quando, in realtà, non l’ha chiesto e probabilmente non gli interessa. Ma forse, alla fine, si parla solo di “business” di grandi numeri, i big data che portano alle scelte talvolta non considerano gli “small data”, quelli fatti di empatia e di “persone”… si cercano numeri e basta.

Ma, dal punto di vista editoriale, quello che mi ha davvero infastidito è un articolo che parla di “caffè”… è saltato all’occhio anche a te?

Scusa, intendi quello su Hugh Jackman? Oh, scusa, sulla ragazza bionda (presumibilmente la giornalista)? Sai, per arrivare a trovare Jackman tra il puzzle di foto, bisogna impegnarsi, così tanto che mi sono dimenticata di cosa si parla esattamente in quelle pagine.

Proprio quello: il titolo dice “Un caffè con Hugh Jackman” e nella foto grande, sopra il titolo, la foto di una ragazza bionda col cappellino azzurro… Gerarchia dei contenuti 1.0? Se la ragazza era il “focus” dell’articolo, non era meglio parlare di lei e non scomodare un attore? Oppure, se doveva comunque esserci anche lei al centro dell’attenzione, una foto di entrambi che bevevano il fatidico caffè insieme? Sono dettagli, ma l’ho preso come sintomatico… alla fine, a chi interessa la coerenza, se poi quello che deve “fare una rivista” è contenere, tra una pagina di pubblicità e l’altra, “qualche articolo”?
Triste, e rimane una domanda… ma non si possono mettere insieme interessi e contenuto? Personalità e ritorno pubblicitario/economico? Idee per far crescere il valore a 360 gradi? Se non lo fa (non lo vuole fare) un grande e prestigioso gruppo editoriale, chi lo fa? Forse l’editoria è diventata (rimasta) un mestiere per sognatori ed appassionati, per chi ha qualcosa da dire e non solo per chi ha qualcosa da vendere. E il fenomeno che si è creato attorno all’editoria indipendente, fatta di numeri piccoli ma di grandi soddisfazioni, è quello che rimane di una grande storia, ma è anche prospettiva per un grande futuro.