Lo avevano detto, quando è stata interrotta la pubblicazione mensile dell’edizione cartacea (e digitale) di Wired Italia: torneremo sulla carta, ma con un approccio diverso e una periodicità diversa. Lo hanno fatto circa sei mesi dopo e hanno seguito un percorso che noi – sul nostro sito “parallelo” a questo, Jumper – avevamo ipotizzato e predetto. Dal 4 dicembre è in edicola la nuova versione “a periodicità casuale” di Wired Italia, che usando le parole del direttore Federico Ferrazza:
Il risultato è un prodotto che rompe gli schemi del passato. Che non solo racconta l’innovazione ma ambisce a essere innovativo; che nel format non sarà mai uguale al numero precedente; che è contemporaneo anche se analogico; che non ha intenzione di inseguire i tempi, i linguaggi e la quantità delle informazioni online ma che, anzi, completa l’offerta di Wired fatta di digitale ed eventi”
Festeggiamo questa uscita tutta italiana con una foto emblematica: la rivista, appena comprata in edicola, da “assaggiare” con voi accanto a delle ancora calde brioche da granita siciliana… si parla di editoria (e il momento della colazione è ideale per farlo), e si colloca non solo in Italia, ma nella cultura più profonda (cibo, Sicilia, granita) che abbiamo e che vogliamo mantenere, perché anche se ci proviamo, non riusciamo a non essere parte di questo Paese.
Il risultato è affascinante, e forse il migliore progetto editoriale di rivista italiana degli ultimi anni: nella struttura, nella strategia, nella grafica. Al tempo stesso, la formula individuata da Wired (Italia) non è così innovativa, perché è la stessa adottata nel campo dell’editoria “Indie”, quella dei Kinfolk, dei Cereal, dei Fool che sono proprio al centro dell’analisi che segue questo sito (e che, nel nostro piccolo, cerchiamo anche di fare e di insegnare nei nostri corsi di grafica editoriale e digitale).
La formula di Wired Italia è quella della maggiore attenzione alla grafica, alla qualità, ad una percezione della pubblicità molto meno invasiva (ma ne parliamo dopo), del bianco come elemento di comunicazione, carta di pregio, rilegatura e foliazione più vicina al libro che non alla rivista. Non è certo l’editoria mainstream (e nemmeno Wired Italia) ad essere portavoce e ancor meno inventore di questa tendenza, sebbene questo vorrebbe essere il messaggio di fondo, ma è un bene e una felicità che possa essere sdoganata questa visione, perché serve a tutti – grandi e piccoli, amanti di questo prodotto che si chiama “rivista” e “editoria” – per poter guardare oltre la siepe, per progettare con una diversa visione e per orientare il futuro.
Alcune intuizioni sono interessanti, del progetto grafico curato dallo Studio Pitis e Associati, con il supporto di David Moretti (storico grafico sin dagli albori dell’edizione di Wired Italia, quella creata da Riccardo Luna), tra queste i sommari che simulano gli scroll digitali, la divisione in capitoli/sezioni (che però nasce dal progetto editoriale, più che da quello grafico), le scelte azzeccate della tipografia, che appare essenziale, leggibile e non troppo protagonista (come a dire… guardami…). E poi c’è la pubblicità…
La pubblicità è l’anima dei progetti editoriali, anche quando si decide di non averla (come spesso succede nell’editoria indie): se c’è influenza, se non c’è… influenza ancor di più. La scelta di Wired Italia è forse la migliore intuizione del progetto editoriale: c’è, eccome, ma quasi non si vede, perché le pagine di editoriale sono tante e quindi si diluisce, quando c’è è nascosta (per esempio con pagine a finestra, quindi bisogna “aprirla” per fruirla, e questo è un gioco che in qualche modo avvicina la carta al web, dove i banner non funzionano più, ma bisogna creare altre forme di “interazione” e di “interesse”). Non c’è la quarta di copertina pubblicitaria (un’eresia che avrà fatto venire l’orticaria al comparto pubblicitario di Condé Nast) ma è una scelta quasi obbligata, per rendere “libro” una rivista“. Altri ”trucchi“ sono per esempio l’uso di colori speciali come l’argento (uno dei codici della grafica di Wired sin dalla nascita ”originale“ negli USA) solo per le pagine di pubblicità, che devono farsi il trucco più che ”usare trucchi”…
Ultima valutazione, la versione digitale c’è, ma è un PDF, costa € 3.99 invece che i € 5.00 di quella cartacea e fa sorridere per la totale mancanza di struttura progettuale, gli spazi pubblicitari “a finestra” di cui abbiamo parlato, si sviluppano su iPad come una triste sequenza di pagine che si susseguono e non si incontrano mai. Quasi a dire… che il digitale non è di casa, non è innovazione, non sappiamo che farcene. Già, questa è cosa comune per tutte (o quasi) le riviste italiane, e ancora una volta sarà l’editoria indie che dovrà mostrare la strada. Perché la grande editoria non riesce più ad inventare nulla, ma solo a copiare quello che – nascendo nel sottoscala delle tendenze – affiora quando finalmente ha successo e diventa una vera tendenza.
Wired Italia è già tutta esaurita in giro per le edicole, ma sembra anche questa una strategia… gli edicolanti da noi intervistati dicono di avere ricevuto un numero ridicolo di copie: forse si sperava in questa ricerca, un po’ stile le code per comprare l’iPhone… tutto questo fa spettacolo, e in questo certamente i muscoli dei grandi risultano convincenti e di impatto.
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