L’editoria indipendente, quella fuori dagli schemi mainstream, rischia di essere fagocitata dai grandi gruppi editoriali? E’ un grido di allarme che arriva in seguito all’acquisizione di Pitchfork Media da parte di Condé Nast e di xoJane da parte di Time Inc, due gioielli dell’informazione sul web che sono riusciti a ritagliarsi una fetta rilevante di utenti/lettori con una formula basata su qualità, personalità, cultura contemporanea.

Sembrerebbe che, in mancanza di idee e anche di visione, i grandi del mondo dell’informazione stiano decidendo di usare l’unica leva che hanno (ancora) in mano: la forza dei soldi. E allora via alla razzia, che porta nelle tasche dei creatori di questi nuovi lidi del giornalismo e dell’editoria nell’era digitale dei bei milioni di dollari, ma poi cosa succederà? A pagare il conto saranno i lettori e gli appassionati di una qualità editoriale fuori dagli schemi?

Da troppi anni, gli editori “che contano” hanno messo come priorità assoluta i voleri, le volontà e il malcostume degli inserzionisti, i quali esigono numeri e risultati che non hanno certo nulla a che fare con la “buona” informazione. Cosa se ne fa/farà Condé Nast di Pitchfork? Sarebbe bello pensare che lo useranno come un laboratorio formativo per imparare e insegnare al proprio interno come e cosa vuol dire fare una rivista online, ma sarà davvero così? Il dubbio però è che possa accadere esattamente il contrario: che l’approccio “marketing” vinca su quello del contenuto, e che presto potrà portare ad un peggioramento di questi siti. O, peggio ancora, queste acquisizioni potrebbero addirittura portare all’eliminazione di concorrenti più bravi che potrebbero col tempo intaccare il predominio dei “Grandi”.

Tanti anni fa, un editore con il quale lavoravo mi disse – a fronte della mia preoccupazione sul fatto che non si stesse sviluppando all’interno una cultura web e digitale – che non aveva nessuna intenzione di investire soldi prematuramente, che se “davvero il web diventerà importante, ovvero quando renderà soldi, allora potremo investire soldi per acquisire tali competenze all’interno”. Tale illuminata visione è stata adottata anche da altri (questo editore, nel frattempo, ha interrotto l’attività: l’attesa è stata devastante, altro che strategica), e oggi è arrivato il momento di “acquisire le competenze”, ma come sarà la convivenza? Vincerà lo schema dei grandi che toglierà freschezza e capacità innovativa ai “piccoli”, oppure saranno questi a cambiare la cultura aziendale di chi li ha acquisiti?

Ci auguriamo che vinca la qualità, ma sarebbe una vera notizia in controtendenza. In questo momento siamo più propensi a pensare che stiamo perdendo qualcosa, più che inneggiare al cambiamento.