Condé Nast

Il caso Vogue. Quando le riviste muoiono, la colpa di chi è?

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L’annuncio di qualche giorno fa parla della chiusura di tutte le testate italiane della galassia Vogue, ad esclusione della capostipite, quel “Vogue” che è stata per decenni la creatura di Franca Sozzani e che è rimasta al vertice fino alla (sua) fine e ora passata ad Emanuele Farneti (qualche settimana fa, il primo “capitolo” di questa storia, nelle edicole italiane, ne abbiamo parlato qui). Condé Nast, che col suo Stato Maggiore troneggiava sorridente ed ottimista sulla copertina di Prima Comunicazione del mese di Aprile: Fedele Usai, nuovo AD che entrerà in carica però solo il 1° settembre, insieme al “sostituito” Giampaolo Grandi che rimane però nella posizione di Presidente del Gruppo editoriale e tra loro Jonathan Newhouse, CEO e Chairman di Condé Nast International), diceva che

oggi fare gli editori significa sperimentare nuovi contenuti di qualità, su carta e digitale

Per certi versi, questa frase doveva suonare come un campanello di allarme… più che un segno di ottimismo. Sperimentare, di fatto, vuol dire anche e soprattutto “cambiare”, quindi sia aprire che chiudere le strade. Per ora, quello che si è visto, è la chiusura, e a dirla tutta non sembra poi così un percorso “innovativo”.

Condé Nast mangia Pitchfork, cosa rimane nel piatto?

L’editoria indipendente, quella fuori dagli schemi mainstream, rischia di essere fagocitata dai grandi gruppi editoriali? E’ un grido di allarme che arriva in seguito all’acquisizione di Pitchfork Media da parte di Condé Nast e di xoJane da parte di Time Inc, due gioielli dell’informazione sul web che sono riusciti a ritagliarsi una fetta rilevante di utenti/lettori con una formula basata su qualità, personalità, cultura contemporanea.

Sembrerebbe che, in mancanza di idee e anche di visione, i grandi del mondo dell’informazione stiano decidendo di usare l’unica leva che hanno (ancora) in mano: la forza dei soldi. E allora via alla razzia, che porta nelle tasche dei creatori di questi nuovi lidi del giornalismo e dell’editoria nell’era digitale dei bei milioni di dollari, ma poi cosa succederà? A pagare il conto saranno i lettori e gli appassionati di una qualità editoriale fuori dagli schemi?

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