Le riviste digitali hanno un problema serio, e nessuno ne parla. O meglio: visto che siamo preoccupati, abbiamo iniziato a parlarne noi, e lo abbiamo fatto di recente, facendo un intervento molto appassionato durante un evento dedicato al digital publishing. Questo problema non è dato dalla loro ancora scarsa capacità di penetrazione sul mercato, e nemmeno dalla mancanza di attenzione che hanno finora ottenuto dal mondo dell’editoria mainstream, che si è banalmente accontentata di versioni prive di appeal, semplici versioni PDF fatte pagare come quelle cartacee e senza dedicare loro la giusta progettualità grafica, contenutistica e ancor più commerciale ed imprenditoriale a questo nuovo modo di intendere le riviste (di tutto questo, molti ne subiranno le conseguenze quando il mercato sarà più maturo, e saranno nati nel frattempo nuovi editori capaci di cavalcare questa evoluzione).
Il vero problema è di altro genere, e ha a che fare con la durata nel tempo. *Sono già tante le riviste digitali che sono morte, o quantomeno sono scomparse*: la tecnologia le ha già fagocitate, perché lo sviluppo si è bloccato. Le prime due piattaforme per creare riviste digitali per iPad (quella di Woodwing e quella di Adobe, la DPS) sono sostanzialmente morte, e quindi tutte le pubblicazioni nate nei primi anni (2010/2014) con questi sistemi sono spariti da Apple Store e da Google Play (le pochissime che sono arrivate anche qui), e quelle che ancora sono presenti sono dei morti che camminano. Il rischio è che questo stesso risultato sarà destinato ad altre riviste che sono state realizzate con altre piattaforme “Proprietarie”, ed è necessario mettere in allarme questo settore per evitare una desertificazione epocale.
Le riviste non sono cataloghi (a volte è bene ricordarlo, sotto il cappello “digital publishing” si mette insieme il catalogo del supermercato e il National Geographic!), e la loro durata nel tempo non può essere messa in discussione. Pensate a quello che le riviste hanno rappresentato e che possono ancora adesso aprire come finestra su un momento storico, culturale e sociale. Se sfogliamo una rivista del dopoguerra possiamo rivivere e tornare a respirare un clima di rinascita che ci sarebbe tanto prezioso non solo più di un libro di storia, ma anche per affrontare il momento attuale, così difficile perché così povero di speranze. Malgrado l’ingiallimento delle pagine, la fruizione di questi contenuti sarebbe ancora oggi possibile, le riviste digitali di cinque anni fa invece sono in gran parte scomparse, ed è solo l’inizio di questo disastro.
C’è soluzione? Certo che si: non siamo nostalgici e amanti del passato, non siamo come chi che dice che l’unico futuro sicuro è tornare sulla carta; la carta ha un valore ben diverso, progettuale, emotivo, strategico, sensazionale, ma chi dice che solo quello che si stampa si può salvare mente oppure non sa come si devono gestire l’informazione e i contenuti digitali. Il digitale è – potenzialmente – eterno ed indistruttibile, ma serve una cultura adeguata per gestirlo, conservarlo e quindi una sensibilità che deve portare ad allontanare i rischi. Il principale di questi rischi è l’uso di formati non standard, non aperti. Se state pensando di affidare ad un processo di produzione digitale le vostre riviste, meditate molto attentamente. Cosa vi consentono di fare, questi sistemi? Vi consentono di esportare il contenuto in un formato che, in futuro, potrete rielaborare, o anche solo preservare? Potrete accedere al codice sorgente per poter aggiornare il vostro contenuto? E, attenzione, non stiamo parlando di “modificare il contenuto”, ma di renderlo semplicemente aggiornato all’uso sui nuovi device e/o sistemi operativi. Perché, per farla semplice, una rivista nata per il primo sistema operativo di iPad (2010) oggi non sarebbe probabilmente visualizzatile su iOS9, figuriamoci cosa succederebbe su un futuro iOS12.
Se le piattaforme che scegliamo oggi non ci permetteranno di aggiornare i nostri contenuti, se non pagando abbonamenti o iscrizioni che forse in futuro non saremo disposti a pagare (magari avremo cambiato soluzione e sistema), o addirittura se queste soluzioni non esisteranno più, come faremo a mantenere in vita le nostre riviste digitali? Prendete questo pericolo dal lato che volete (etico, culturale o anche “solo” commerciale), e vi accorgerete che il problema è davvero grave. Certo, domani non possiamo sapere quale sarà il futuro, ma se avremo scelto soluzioni in grado di “esportare” un contenuto standard (per esempio, un Html, o un ePub che rispetta le specifiche) potremo – anche in assenza del tool che l’ha generato – entrare, modificare, correggere e aggiornare il codice.
Le riviste e i loro contenuti meritano un futuro, che siano fatte di carta o di bit. E questo futuro dipende dalle scelte che faremo: ci auguriamo che siano prese con coscienza e questo ragionamento lo facciamo a voi, lo facciamo a noi stessi e lo trasmetteremo ad alta voce a tutti: aziende, editori, studenti, creativi. Il futuro deve essere visto con una visione lungimirante, come un orizzonte che non può essere buio.
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