A Venezia, l’altro giorno, c’erano poche persone. Strano a dirsi, ma erano davvero poche: i negozi, bar e ristoranti in gran parte chiusi; quasi surreale, eppure anche i turisti fanno vacanza, nel senso che a volte non calpestano la città più affascinante del mondo. Torneranno presto, ma il 14 gennaio erano pochi pochi, calli e campi semi vuoti.

Al contrario, l’Aula Magna dello IUAV – l’Università di Architettura di Venezia – era gremita oltre ogni possibile capienza, invasa da giovani studenti che erano lì per ascoltare una “conversazione” tra Francesco Franchi, Art Director di IL (ma non serve dirlo: si sa) e Simon Esterson, Art Director di Eye Magazine (e anche questo non servirebbe dirlo). Il tema era evidentemente interessante: “What is Editorial Design?”; interessante al punto che abbiamo investito la giornata partendo da Milano ed eravamo lì… anziani tra i giovanissimi, ad ascoltare perché a volte è bello stare dall’altra parte della barricata.

IUAV_Evento2Anche causa la grande affluenza, c’è stata l’esigenza di organizzare i posti a sedere, quelli in piedi e quelli sdraiati ai bordi dell’aula… e per fortuna che all’ultimo l’incontro è stato spostato dalla biblioteca all’aula magna, se no sarebbero dovute intervenire le forze dell’ordine. Ha iniziato a parlare Emanuela Bonini Lessing, ricercatrice dell’Università che appunto aveva il compito di introdurre l’incontro, e poi finalmente la parola è passata a Simon Esterson che ha fatto un bellissimo percorso sull’evoluzione dell’editorial design nella sua storia.

Accanto a me, un gruppetto di tre ragazzi – due ragazze e un ragazzo – accucciati a terra, sembravano contenti di essere presenti, ma come occasione di incontro tra di loro. Le due ragazze, in particolare, si scambiavano risatine, battutine, e nessuna delle due dedicava nemmeno uno sguardo alla proiezione che avrebbe potuto ispirarle tanto. Erano giovani, certo, e avevano cose sicuramente molto divertenti da condividere… questo post lo facciamo anche per loro, che hanno perso meravigliose segnalazioni che forse, un giorno, quando saranno di fronte ad un progetto editoriale da “disegnare”, potrebbero risultare fondamentali.

Vedete, care ragazze disattente, Simon Esterson ha parlato e mostrato opere geniali che confermavano quanto il lavoro di un grafico editoriale debba essere quello di organizzare sapientemente gli elementi (testi, titoli, immagini) nella pagina, ma che questo non è che la fine del processo, la parte finale: quella che si vede, ma prima e dietro c’è un lavoro concettuale, di pensiero profondo, per capire che tipo di immagine è utile e necessaria, e di conseguenza anche commissionarla ai fotografi, oppure agli illustratori. Il design, alla fine, è solo la punta di un iceberg.

Sono state passate in rassegna pagine di riviste e copertine che hanno 60 anni e che sono ancora super attuali, ha fatto emozionare con la grafica della tedesca Twen che vorremmo tanto ritrovare nelle riviste che si fanno oggi (che meraviglia), ci ha tranquillizzato – care ragazze, mentre emettevate squittii e gridolini guardando dalla parte sbagliata – mostrandoci come non c’è bisogno di avere paura delle montagne di testo, perché gia nel 1971 Esquire (USA) riusciva a dominarlo con stile.

Ci ha fatto poi ritrovare Nova, una delle riviste più di “rottura” della cultura delle pubblicazioni femminili, che nel tumulto culturale degli anni attorno a quell’incredibile ’68 proponeva un messaggio che metteva la donna (finalmente) in una posizione di forza, di consapevolezza del proprio ruolo nella società e della sua libertà di espressione e di scelta. Oltre a questo, Nova proponeva una fotografia di moda forte e intensa, grande uso della tipografia (nel senso… di grande), e ampi spazi bianchi.

E poi accenni a Rolling Stone, all’inglese AR (Architectural Review) e la sua meravigliosa storia di copertine senza logo, all’invenzione de The Sunday Times Magazine, distribuito gratuitamente con il giornale, nato come contenitore di pagine pubblicitarie a colori (in un’era in cui i giornali erano solo “neri”), ma proprio per questo che sembrerebbe un limite, ha potuto avere più libertà di delineare un nuovo linguaggio espressivo nell’editoria.

E poi, mentre Simon apriva un capitolo che colpiva il cuore del sottoscritto, perché è quel capitolo che mi ha portato ad amare la grafica editoriale, le ragazze si abbracciavano e cercavano di coinvolgere il ragazzo del gruppo che, con gli occhialini, cercava invece di rimanere concentrato sulla proiezione ed ascoltava. Lui, speriamo, abbia visto (speriamo “rivisto”) la genialità di quel personaggio dal viso bizzarro, basso di statura e immenso come visione e capacità, quel Neville Brody che ho avuto l’onore di incontrare e di stringergli la mano (solo Steve Jobs avrebbe potuto darmi la stessa emozione), responsabile di The Face, di Arena (e di tanto altro, ma citiamo solo quello che ha citato Simon).

C’è molto altro, raccontato e mostrato: l’incredibile versione orizzontale di I-D Magazine di Terry Jones (già art director of Vogue e anche di Fiorucci), la rivoluzione grafica e fosforescente di Wired US (ok, ragazzi: se volete potrei mettere all’asta il primo numero, che conservo nella mia libreria), e poi i più recenti The New York Times magazine e T magazine, Bloomberg Businessweek, IL, Monocle, Port, Fantastic Man, Fires & Knives.

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Ecco, lo spettacolo della storia dell’editorial design si è concluso, e Simon Esterson ha iniziato il suo secondo intervento, parlando di quello che lui e il suo team intendono una “rivista” oggi, mostrando una sintesi di una presentazione fatta ad un cliente. Anche qui, ci sarebbe stato tanto da capire, care ragazze immature e distratte sedute accanto a me nell’aula magna. Perché oggi le riviste sono molto di più di quello che erano una volta, il loro ruolo si è evoluto, anche se purtroppo si è spesso anche “involuto”, causa editori e professionisti di questo mondo troppo impegnati a pensare a logiche commerciali che poi si sono ribaltate contro trasformandosi in incubi… chi doveva fare buone riviste ha fatto sempre più pessime riviste, inseguendo i vizi di un mercato sterile ed inutile, che ora non è nemmeno più in grado di sostenere questo “niente” dilagante.

Ecco, purtroppo sul più bello, suonava una campana… erano le 19.20 e l’ultimo treno per tornare a Milano imponeva l’abbandono della sala. Rimanere a Venezia la notte sarebbe stato impossibile, non ci sono saldi negli alberghi nemmeno nei giorni di “vuoto”, e comunque ci aspettavano tanti altri appuntamenti. E’ stato promesso che verrà rilasciato il video dell’intero convegno, quindi speriamo di poter recuperare il contenuto perso. Se così sarà, torneremo aggiornando questo post con il link relativo, così magari anche le giovani studentesse – semmai – potranno cercare di scoprire tutte le cose interessanti che si sono lasciate sfuggire!