Con un ritardo colpevole, ho letto un articolo del numero di Aprile di Prima Comunicazione che parlava di edicole che stanno – è facile capirlo – vivendo un gran brutto momento. D’altra parte, la catena distributiva del mondo editoriale è crollata, prima di tutto perché è crollato il numero di giornali e riviste vendute; pensate che nel 2000 si vendevano 6 milioni di giornali al giorno, ora siamo a 2 milioni… 4 milioni di copie perse, al giorno.
Meno (molte meno) copie, ma non si tratta solo di quello: l’edicola sembra – nel panorama cittadino/metropolitano – essere un baluardo del passato quasi come le caselle delle lettere e le cabine telefoniche. Non si sente nessuno che dice di “fare un salto in edicola” da anni, semmai questo può succedere, ma alla fine è un’occasione che si vive quando si scende in metropolitana, oppure al supermercato, vicino alla cassa, si trova un disordinato e sparuto angolo – tra i sacchetti di patatine e le caramelle – dedicato ai “giornaletti”.
Quando pubblicavo la mia rivista, sapevo che le edicole in tutta Italia erano 38 mila (Prima parla di 40 mila all’inizio degli anni 2000, quindi i dati più o meno coincidono) e ora si attestano a soli 28 mila punti, ma stanno scendendo ulteriormente ed è un mondo fatto di anziani… sono pochissimi i giovani che possiamo troviamo a gestirle. Ma forse ora qualcosa potrebbe cambiare, si sta parlando con il legislatore, per trovare soluzioni, ma non sembra che le idee siano molte e specialmente ben accette: quando la coperta è corta per tutti, si può solo litigare.
Una delle idee di cui si parla è di ipotizzare che le riviste di settore (auto, abbigliamento, fotografia) possano trovare spazio nei negozi che vendono questo tipo di prodotti. Il problema è: chi gliele consegna? L’idea – geniale – è che siano gli stessi edicolanti, che si dovrebbero trasformare da punti di vendita a sub-distributori: ma chi le pensa queste cose? Chi fa queste proposte ha provato ad uscire dal proprio foglio di Excel e guardare gli edicolanti? Come possono pensare che il loro ruolo possa essere funzionale, da “ultimo miglio”, per sopperire alle mancanze (o alle possibilità) dei colossi che si occupano di logistica e di distribuzione? E quindi si litiga, e quindi si parla di qualcosa che – tanto – non potrà mai funzionare, anche se…
… Anche se, ancora una volta, l’editoria indipendente questa “rivoluzione” l’ha già fatta da tempo, perché non si trovano riviste raffinate e di nicchia nelle edicole, ma nei negozi di abbigliamento (per esempio Bjork a Firenze), di design e accessori (come Soul Studio a Roma) e altre che trovate in questa ricca sintesi), oppure nelle librerie dove anche le riviste si trovano ben ordinate e divise per argomenti. Potrebbero esserci riviste indipendenti di sport in raffinati negozi di sport (non certo da Decathlon), riviste dedicate all’immagine in negozi di fotografia (se ne esistono ancora…), e così via.
Nelle edicole, di sicuro, le riviste di qualità stentano a trovare posto (ce ne sono, e ci sono edicolanti che hanno sensibilità e entusiasmo, che andrebbero valorizzati e messi in evidenza), mentre guadagnano spazi le confezioni di giochi per i bambini, le lattine di bevande fresche, caramelle, e poi si aggiungono servizi come le fotocopie, i fax (sigh) e forse anche la lettura dei tarocchi (sempre di carta si parla…).
Non sarà una legge – per di più fuori dalla praticità e dalla contemporaneità – che salverà questa situazione, e le edicole si ridurranno ulteriormente, ma questo non significa che spariranno le riviste di carta, anzi. E’ che – le grandi catene d negozi lo hanno capito – l’unico motivo per far sopravvivere i punti vendita è creare appeal, rendere possibile vivere un’esperienza emozionale, e le edicole non stanno certo seguendo questa nobilitazione e rafforzamento, ma rimangono il posto dove “andare a comprare qualcosa” . Per questo c’è Amazon, che sinceramente potrebbe anche allargare il suo canale di vendita di riviste e giornali… e non è detto che non lo faccia.
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