Post diLuca Pianigiani

Luca Pianigiani è un giornalista specializzato in fotografia professionale e cultura digitale, docente di editoria digitale, consulente di editori e aziende, chiacchiera spesso su un palco. Ama cucinare, ascoltare musica e adora i gatti. Non porta la cravatta, di solito è spettinato. Non lo fa apposta, lo hanno disegnato così...

Vogue Italia, trent’anni dopo

Vogue Italia

Ed infine è arrivato, trent’anni dopo, il nuovo Vogue Italia, quello firmato da Emanuele Farneti e “disegnato” da Giuseppe Bianchi, anche se in anticipo rispetto alle previsioni che puntavano ad una uscita in edicola nell’autunno.

Uno stile che guarda al passato, alla prima era Sozzani: nel formato, in uno stile grafico e tipografico, nella fotografia (guarda caso, Meisel che è rimasto il filtro di “tutte” le ere Sozzani… ), e che ripropone le ombre come elementi di grafica per simulare fogli, foglietti e pagine appoggiati su tavoli e piani immateriali. Sarà finito il periodo del flat design?

Da un lato si dice nell’editoriale intitolato “Il Nuovo Vogue Italia”:

“… cambia la grafica: poche immagini, ma rilevanti (perché un magazine sceglie e seleziona e ordina, diversamente dai social media e accumulano, e infatti gli sono complementari, non alternativi”

Ma poi, in alcune pagine (forse le migliori) il gioco grafico fa invece uso di tante immagini quasi a creare, sulla carta, sequenze in movimento o “non scelta”. Ma sono, sicuramente, licenze poetiche, eccezioni che confermano la visione generale. Si parla di pagine che diventano colorate perché “pensiamo che oggi ci sia più bisogno di gioia e bellezza, che di rigore e freddezza”, e i colori più “sgargianti” (ad esclusione di pagine di pubblicità come quelle di Gucci proprio all’inizio del numero) sono il giallino, il tortora slavato, il rosino annacquato.

La carta, lucida e spessorata, viene definita preziosa, ma forse non riesce a trasmettere virtuosismo, forse più altezzosità, ma d’altra parte Vogue è Vogue…

Le edicole e il crollo della distribuzione delle riviste

Edicola

Con un ritardo colpevole, ho letto un articolo del numero di Aprile di Prima Comunicazione che parlava di edicole che stanno – è facile capirlo – vivendo un gran brutto momento. D’altra parte, la catena distributiva del mondo editoriale è crollata, prima di tutto perché è crollato il numero di giornali e riviste vendute; pensate che nel 2000 si vendevano 6 milioni di giornali al giorno, ora siamo a 2 milioni… 4 milioni di copie perse, al giorno.

Meno (molte meno) copie, ma non si tratta solo di quello: l’edicola sembra – nel panorama cittadino/metropolitano – essere un baluardo del passato quasi come le caselle delle lettere e le cabine telefoniche. Non si sente nessuno che dice di “fare un salto in edicola” da anni, semmai questo può succedere, ma alla fine è un’occasione che si vive quando si scende in metropolitana, oppure al supermercato, vicino alla cassa, si trova un disordinato e sparuto angolo – tra i sacchetti di patatine e le caramelle – dedicato ai “giornaletti”.

Athleta: fotografia di sport per una rivista indie tutta italiana

Athleta

Abbiamo tra le mani il primo numero di Athleta Magazine, rivista creata dallo Studio Rise Up di Giovanni Gallio, fotografo veronese specializzato nello sport. Un progetto che propone un viaggio di immagini, forti e intense (solo alcune firmate da Gallio e dalla picture editor della rivista, Sara Capovilla), e testi che raccontano storie di un viaggio che non non è fatto certo solo di muscoli e sudore: c’è la filosofia della sfida, della competizione, ma anche un approccio alla vita e al suo senso più profondo.

E’ bello vedere che anche in Italia possano svilupparsi progetti così, quelli di un’editoria indipendente che vediamo troppo spesso nascere solo all’estero. La grafica, firmata da Alessandra Pavan, strizza positivamente l’occhio allo stile più tradizionale dell’editoria indie, ed è quasi una novità, in questo periodo in cui invece l’estremizzazione del segno, della tipografia eccessivamente marcata, dei gigantismi dei titoli e dei sommari sono diventati la “normalità”, anche se al tempo stesso il corpo del testo di Athleta causa un po’ di fatica, ai lettori un po’ meno giovani e che però non si sentono abbastanza vecchi per usare costantemente gli occhiali da presbiti (un punto in più di corpo? promettiamo l’acquisto del secondo numero se viene accettata la richiesta!). Athleta punta comunque tutto sulla fotografia, ma non è “solo” un progetto fotografico, e i testi sono in inglese e in italiano.

Raffinato, contemporaneo, interessante, forse pecca leggermente proprio nella resa delle immagini, che pur ben riprodotte con eleganza sulla carta super opaca – scelta ormai obbligata nell’editoria indie (chissà quando qualcuno sarà così coraggioso da riscoprire e riproporre quella lucida?) – sembrano avere lasciato dietro alle spalle una piccola percentuale di colore che avrebbe dato, secondo noi, più valore all’intero prodotto.

Athleta si compra direttamente sul sito al prezzo di 19 euro + spese postali (per l’Italia, 5.40, arriva in una settimana abbondante). Aiutiamo l’editoria indipendente italiana, ne abbiamo bisogno tutti 

Riviste digitali: come evitare il rischio di estinzione

MGZN | Riviste digitali: come evitare il rischio di estinzione

Le riviste digitali hanno un problema serio, e nessuno ne parla. O meglio: visto che siamo preoccupati, abbiamo iniziato a parlarne noi, e lo abbiamo fatto di recente, facendo un intervento molto appassionato durante un evento dedicato al digital publishing. Questo problema non è dato dalla loro ancora scarsa capacità di penetrazione sul mercato, e nemmeno dalla mancanza di attenzione che hanno finora ottenuto dal mondo dell’editoria mainstream, che si è banalmente accontentata di versioni prive di appeal, semplici versioni PDF fatte pagare come quelle cartacee e senza dedicare loro la giusta progettualità grafica, contenutistica e ancor più commerciale ed imprenditoriale a questo nuovo modo di intendere le riviste (di tutto questo, molti ne subiranno le conseguenze quando il mercato sarà più maturo, e saranno nati nel frattempo nuovi editori capaci di cavalcare questa evoluzione).

Il vero problema è di altro genere, e ha a che fare con la durata nel tempo. *Sono già tante le riviste digitali che sono morte, o quantomeno sono scomparse*: la tecnologia le ha già fagocitate, perché lo sviluppo si è bloccato. Le prime due piattaforme per creare riviste digitali per iPad (quella di Woodwing e quella di Adobe, la DPS) sono sostanzialmente morte, e quindi tutte le pubblicazioni nate nei primi anni (2010/2014) con questi sistemi sono spariti da Apple Store e da Google Play (le pochissime che sono arrivate anche qui), e quelle che ancora sono presenti sono dei morti che camminano. Il rischio è che questo stesso risultato sarà destinato ad altre riviste che sono state realizzate con altre piattaforme “Proprietarie”, ed è necessario mettere in allarme questo settore per evitare una desertificazione epocale.

L’informazione, gli “articoli istantanei” di Facebook e Google e il ruolo degli editori

L’editoria dell’informazione è di fronte ad un’evoluzione epocale. Ancora, direte voi? Si, perché ci sono meccanismi che stanno influenzando i metodi di fruizione, ma anche i flussi di distribuzione, e gli editori (grandi e piccoli) devono capire come muoversi, velocemente.

Molti avranno sentito parlare delle soluzioni proposte da Facebook con il suo Instant articles che dal 12 aprile sarà disponibile a tutti gli editori (anche a noi piccolini…), sull’altra sponda Google propone e spinge l’analoga tecnologia Accelerated Mobile Pages (AMP). Cosa offrono queste tecnologie? La velocità di accesso agli articoli, usando ottimizzazioni che permettono di caricare “istantaneamente” contenuti anche ricchi di animazioni e impatto multimediale, riducendo ad un istante il tempo che intercorre tra la chiamata del link dell’articolo e la sua visualizzazione sullo schermo; il risparmio, dicono gli esperti tecnici, è di diversi secondi, a parità di contenuto.

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