Quando l’avevo intervistata, ormai oltre un anno fa, Michele Outland me l’aveva detto: “stiamo lavorando ad un’app di ricette con Studio Mercury, ma non sostituiremo la nostra rivista cartacea con un Gather digitale”. E così è stato: al lancio della nuova Adobe Digital Publishing Suite (DPS 2015) non c’era un numero nuovo fiammante di Wired come nel 2010 e nemmeno l’evoluzione di Fast Company (che già da febbraio testa la nuova piattaforma), bensì una rivista indipendente dedicata al food: Gather Journal.
Bellissima nella sua edizione cartacea, molto curata nella fotografia, chi si stupisce della scelta di questa partnership, deve forse ripercorrere un po’ di storia del digital publishing per capirne le meccaniche: nel 2010, Michele Outland (creative director di Gather) era al lavoro sull’edizione digitale di Martha Stewart Living, a cui erano stati chiamati a collaborare anche i Brothers Mueller, di Studio Mercury. Ecco allora che i “conti” tornano e l’idea di scegliere questa rivista si fa più comprensibile per una Adobe che, in fatto di editoria digitale, non ha celato un certo disprezzo per pubblicazioni o team di piccole dimensioni.
La particolarità della nuova Adobe DPS è di allontanarsi da una struttura issue-based (basata sull’idea di numero di rivista), a favore di una article-based, basata sugli articoli singoli, favorendo così una fruizione più fluida dei contenuti, che possono essere non solo legati ad un’uscita specifica, ma appartenere a raccolte ed essere messi periodicamente in evidenza. Si viene così a perdere l’idea tradizionale di numero a tema e di coerenza tra un contenuto e l’altro appartenenti ad una stessa uscita, ma nel caso di un’app come quella di Gather, la fruibilità delle ricette e la loro ricercabilità si fa piuttosto sensata, anche se oltre a vedere un po’ sacrificata la magia delle fotografie, ci si chiede in cosa si distingua davvero quest’app dal ricco sito già esistente. Forse nel paywall? Anche considerando che al momento la nuova piattaforma Adobe non risulta particolarmente veloce e i contenuti non vengono effettivamente scaricati per la fruizione offline, bensì finiscono in una non meglio definita “cache” sul device.
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