E’ raro che a catturare l’attenzione e a destare l’entusiasmo dei giovani designer siano il rigore grafico o la perfezione tipografica. Anche chi rimane affascinato dalla “pulizia” di una “classica rivista indipendente” (Cereal, tanto per fare un nome “a caso”), in realtà apprezza qualcosa che è tutt’altro che la norma o la tradizione (l’enfasi sul contenuto fotografico, lo spazio bianco). E’, infatti, la rottura, l’insolito, il coraggio e l’espressività di scelte grafiche insolite e fuori dagli schemi a coinvolgere i più e ad attirarli addirittura verso la professione nel campo del design.
Così è andata anche per me, anni fa. Quando per la prima volta mi è stato mostrato l’altro lato dell’editoria, a me che fino ad allora ero stata “solo parole”, sono state le intricate composizioni tipografiche di David Carson ad affascinarmi e a lasciare un segno indelebile nella mia memoria, mostrandomi come l’interpretazione letterale di un testo in forma visiva non fosse la sola strada percorribile.
Così, qualche settimana fa, quando ho visitato il Design Museum di Londra, ritrovarmi circondata da molte di queste opere così “fondanti” è stata un’esperienza che mi ha riempito di rinnovato entusiasmo. La mostra “California: Designing Freedom” percorre gli ultimi 60 anni di storia della comunicazione e del design che ha visto le sue radici proprio nello Stato americano, dalle controculture e movimenti di contestazione, dai primi personal computer di Xerox fino alle automobili a guida autonoma, dalle icone del primo Macintosh disegnate da Susan Kare fino agli emoji a cui deleghiamo oggi l’espressione delle nostre emozioni. Filo conduttore che accomuna oggetti e correnti, così apparentemente distanti, è la sottesa ricerca californiana della libertà in ogni campo, dagli spostamenti (“go where you want” – “andare dove si vuole” – capeggiava sopra ad una delle sezioni della mostra che esibiva motociclette, self-driving cars e sistemi GPS) all’apertura mentale, complice l’uso di sostanze stupefacenti prima e la realtà virtuale poi (“see what you want“).
Interessante come anche gran parte di questa libertà sia passata attraverso l’editoria e il graphic design, come mezzi di espressione di idee, veicoli di uguaglianza sociale e mezzi per la diffusione della conoscenza (condita decisamente in salsa hippie… vedasi il Whole Earth Catalog, ideato da Stewart Brand, dal cui ultimo numero lo stesso Steve Jobs prese il famoso “stay hungry, stay foolish” e per cui hanno scritto vari nomi importanti della Silicon Valley, da Kevin Kelly a Howard Rheingold). Fondamentale per il “make what you want” è stata la nascita del desktop publishing che, grazie alle famose tre “A” – Apple (con il suo Macintosh), Adobe (con il Postscript, che poteva tradurre le impaginazioni realizzate a computer in stampabili) e Aldus (con il software di impaginazione Pagemaker) – ha aperto anche ai singoli la possibilità di lavorare creativamente e in autonomia in ambito grafico ed editoriale. Ad approfittarne per stabilire una corrente estetica tutta nuova, sono stati studi come Emigre, designer come David Carson, e magazine come Wired, che hanno fatto di un linguaggio grafico personale uno dei loro tratti distintivi che ancora oggi colpisce e, per freschezza e audacia, non dimostra tutti gli anni che ormai ha.
La mostra “California: Designing Freedom” è al Design Museum di Londra fino al 15 ottobre 2017. Se non potete andarci, potete comunque acquistare il catalogo della mostra stessa, oppure il bellissimo volume di Thames & Hudson “Earthquakes, mudslides, fires and riots: Californian design 1936-1986“.